da Il Manifesto 27 febbraio
di Alberto Asor Rosa
Infinite sono le cose che avremmo dovuto capire e non abbiamo capito. Ma prima di tentare di arrivare al nocciolo, vorrei fare alcune osservazioni in controtendenza. Sono rimasto colpito dalla vis polemica e dalla malcelata soddisfazione con cui commentatori di ogni colore e testata hanno salutato in tv e sulla carta stampata il fallimento del tentativo operato da Bersani e Vendola di conseguire una maggioranza autosufficiente sia alla camera, sia al senato. Tale coalizione, se non erro, è risultata tuttavia la prima fra quelle di ugual natura sia alla Camera sia al Senato, e alla Camera, porcello adiuvante, dispone della maggioranza assoluta dei seggi.
Infinite sono le cose che avremmo dovuto capire e non abbiamo capito. Ma prima di tentare di arrivare al nocciolo, vorrei fare alcune osservazioni in controtendenza. Sono rimasto colpito dalla vis polemica e dalla malcelata soddisfazione con cui commentatori di ogni colore e testata hanno salutato in tv e sulla carta stampata il fallimento del tentativo operato da Bersani e Vendola di conseguire una maggioranza autosufficiente sia alla camera, sia al senato. Tale coalizione, se non erro, è risultata tuttavia la prima fra quelle di ugual natura sia alla Camera sia al Senato, e alla Camera, porcello adiuvante, dispone della maggioranza assoluta dei seggi.
Non si va lontani dal vero, ipotizzando che la maggior parte di quei giornalisti e commentatori parteggiasse per un risultato che costringesse ad affiancare, a risultati non straripanti del centro-sinistra, il consenso, indispensabile e autorevole, anzi in pratica dominante, del professor Monti. Questo però non è accaduto: direi per la prevalente responsabilità della lista Monti, uscita in maniera miserrima dal voto, più che per quella del centro-sinistra di Bersani-Vendola. Tutto ciò dopo una campagna elettorale interamente giocata da tutti gli altri principali protagonisti, - Berlusconi, Grillo e in misura non inferiore lo stesso Monti, - allo scopo di sbarrare la strada al «riformismo possibile» di Bersani e Vendola: gli attacchi berlusconiani al ritorno al potere dei comunisti e quelli, non meno vergognosi, del professor Monti al «partito nato nel 1921», sono andati tutti insistentemente in questa direzione. Invece ora quel centrosinistra deve fare da sé, e non è detto che questo non sia un vantaggio. Non vorrei riesumare la trita teoria del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, ma in politica se uno non vede il bicchiere mezzo pieno non riuscirà mai ad affrontare e risolvere il problema del bicchiere mezzo vuoto (sono stanco, anche, stanco da morire, anche di quei nostri intelligenti amici e compagni, che non fanno altro che piangere sui danni che noi stessi ci siamo procurati e sulle macerie con cui, irrimediabilmente, ci tocca di avere a che fare). Allora io la vedo così. Il Presidente della Repubblica può, anzi deve, secondo la norma costituzionale, affidare l'incarico di formare il governo ad uno dei leader della coalizione che in una delle due camere abbia raggiunto una sicura maggioranza: in questo caso mi pare, ovviamente il centrosinistra, che alla camera ne dispone una assolutamente inattaccabile. Bersani, dunque: o un altro? Personalmente ritengo che sarebbe un errore cambiare Bersani con un altro. Bersani ha condotto inequivocabilmente la coalizione a questo risultato (il bicchiere mezzo pieno): cambiarlo sarebbe un escusatio non petita di quello che bene o male finora s'è fatto, una inutile confessione di debolezza e di confusione. Deve seguirne una chiara proposta programmatica e istituzionale. Rivolta a chi? Andiamo per esclusioni. Considererei un errore strategico, destinato a produrre catastrofi ancor più rilevanti, l'idea di formulare un'ipotesi di grande coalizione con il centro-destra. Se questa idea dovesse cominciare a circolare e poi a prevalere nella coalizione di centro-sinistra, che dieci milioni di italiani hanno votato per ottenere il risultato opposto, tutto sarebbe puramente e semplicemente perduto. Ma io mi spingerei più in là: dobbiamo dire con chiarezza, o almeno fare capire, che non sappiamo che farcene del professor Monti e della sua agenda, l'uno e l'altra sono fra le cause predominanti dell'attuale crisi italiana (se lo avessimo detto mesi fa, non dovremmo dirlo ora con questo accento di rancore e persino di disprezzo nella voce). Cosa resta?Mi pare che non resti che il Movimento 5 stelle. Attenzione: non parlo di un'alleanza di governo. La cosa che tutti (io per primo) abbiamo capito poco o niente è l'abisso che si è aperto in questi ultimi due decenni in Italia fra le logiche politico-istituzionali tradizionali, proprie di tutti, ripeto: tutti i partiti, e nuove logiche più dirette, immediate e partecipative di cittadinanza. Dunque, non è dall'alleanza che bisogna partire, ma dalle nuove logiche e dalle nuove cose di cui le nuove logiche sono portatrici. Ho ascoltato ieri almeno venti eletti del Movimento 5 stelle parlare in televisione delle cose che vorrebbero andare a difendere e sostenere in Parlamento. Vorrei che mi si credesse se osservo che, almeno in nove casi su dieci, erano le stesse cose, esposte con la stessa logica e quasi con le stesse parole, con cui gli uomini dei comitati della Rete, che io indegnamente in questi anni ho rappresentato, esprimono le loro esigenze e richieste, restando spesso, anche se non sempre, a bocca asciutta. Perciò la cosa non va presa dalla testa, ma dai piedi: quelli su cui si costruisce e si fa camminare un'impresa. La proposta però non può essere né neutra né generica (valori indefiniti di moralità e di giustizia, appelli stratosferici al cambiamento, eccetera): va riportata al concreto delle spinte reali oggi in atto, che la “politica”, cioè i partiti, hanno misconosciuto finora. Dieci punti di programma, insomma, su cui far ruotare fin dall'inizio la vita del nuovo Parlamento. Non mi sfugge che esista un'altra sfera di interesse primario, che per il Movimento 5 stelle è per ora embrionale, mentre per il centro-sinistra è decisiva: si tratta ovviamente del lavoro. Difficilissimo, lo so, declinarle insieme: ma imprescindibile, se si vuole riprendere il bandolo della matassa. Per suturare le due spinte, - una che proviene più che dignitosamente da un lontano passato e che una si manifesta tumultuosamente dal caotico presente, - ci vorrà, prima che una grande abilità politica, una disponibilità mentale a 365 gradi. Persino la forma del governo dovrebbe tenere conto che l'interlocuzione con i soggetti dominanti ha cambiato natura. Abominevole un governo di soli tecnici. Ma anche un governo di soli politici sarebbe in queste condizioni esiziale. Perché non pensare ad un governo che ogni sei mesi propone dieci nuovi differenti punti di programma e fa ruotare i responsabili della macchina sulla base delle necessità progettuali di volta in volta emergenti? Adottare criteri di verifica parlamentari ed extraparlamentari è tutt'altro che impossibile, anche tecnicamente: in talune regioni già ci si prova, perché non cominciare a farlo a livello nazionale? La rottamazione, in sé e per sé insensata, come parola d'ordine e arma di un gruppo contro un altro gruppo, può diventare la logica operante di un sistema politico rappresentativo, in cui il professionismo occupi uno spazio limitato e forse, in prospettiva, sempre più limitato. Questo bisogna provare a fare. Se non ci si prova, o non ci si riesce, allora bisogna tornare alle urne. Io vedo questo come l'apertura di una prospettiva peggiore di quella con cui ci troviamo ora a che fare. Spero che questo convincimento sia condiviso da tutti quelli che sono protagonisti di questo snodo decisivo.
Caro Asor Rosa,
RispondiEliminaapprezzo e condivido totalmente il tuo articolo pubblicato nel Manifesto di oggi, mercoledì 27 febbraio 2013. Sono d'accordo sull'analisi rigorosa che conduci, sul giudizio delle difficoltà e dei forti oppositori al progetto di "un riformismo possibile" del centro-sinistra di Bersani-Vendola. Mi auguro che si possa aprire la strada ad un governo guidato da Bersani con i punti di riforma da te indicati per fare uscire il nostro Paese dall'instabilità e dalla crisi morale, istituzionale, sociale ed economica.
Con rinnovata stima ed amicizia,
Renzo Testi