Spostare l'ottica dal potere al Paese, dalla politica alla cultura di Rossano Pazzagli Ingovernabilità è la parola del momento. A caldo i risultati elettorali hanno subito fatto emergere la difficoltà a comporre un nuovo governo. Come se non avesse vinto nessuno. E questa è già la prima novità, poiché in genere in passato, dopo ogni votazione, sembrava che fossero tutti vincitori. In realtà ha vinto la necessità di una politica diversa, erroneamente e irresponsabilmente bollata finora come antipolitica. Tra Movimento 5 stelle, astensionismo (che si colloca tra i primi quattro 'partiti'), Rivoluzione civile, che pur non avendo ottenuto seggi ha catalizzato un arcipelago di forze politiche e movimenti antagonisti, e altre liste più le schede bianche e nulle, siamo oltre la metà dell'elettorato italiano. D'altra parte la somma dei voti dei principali schieramenti tradizionali (Centrosinistra e Centrodestra più Scelta civica) non supera la metà degli elettori. Il ceto politico ufficiale si colloca quindi al di sotto del 50% quanto a grado di rappresentanza della società italiana.
È un dato significativo, di cui occorre tenere conto se si vuole salvare e rilanciare il sistema democratico. La classe politica tradizionale PD-PDL-Centro non è più in grado, da sola, di rappresentare il Paese, o almeno la maggioranza della popolazione, che non si riconosce più in loro. Per rendersi effettivamente conto della portata del processo di erosione della credibilità delle due formazioni principali non basta osservare le percentuali, ma riflettere sul crollo verticale dei consensi in termini assoluti rispetto alle elezioni politiche del 2008: PD meno 3,4 milioni di voti; PDL meno 6,3 milioni di voti. Chi dice che il centrodestra avrebbe recuperato non tiene conto di questo macroscopico arretramento. Credo che il dato di significativo di queste elezioni, speculare ed anzi origine del boom del movimento di Beppe Grillo, sia proprio questo: l'enorme numero di elettori che hanno voltato le spalle al PDL e al PD, che le percentuali nascondono, ma che le cifre assolute consentono di apprezzare con immediatezza.
La seconda considerazione è che una legge elettorale, da tutti criticata ma che tutti hanno colpevolmente lasciato in vigore, che doveva assicurare la stabilità ha prodotto la più eclatante situazione di instabilità, perfino spingendo gli osservatori politici, o alcuni politici stessi, a parlare di elezioni anticipate prima ancora che chiudessero i seggi. Riformare immediatamente la legge elettorale dovrebbe essere il primo passo, anche se dovesse essere unico, del nuovo Parlamento.
L'ingovernabilità, percepita nell'immediato come un problema, è probabilmente un ingrediente indispensabile del processo di rinnovamento della politica che ha invece necessità di dispiegarsi su tempi più lunghi. È evidente che dopo ogni tornata elettorale l'obiettivo costituzionale è quello di formare un governo come espressione della maggioranza parlamentare. Ma governare per cosa? E governare come? Come sappiamo, in democrazia il metodo è sostanza.
Con il governo Monti, invece, si era prodotta una anomalia democratica che ha condotto quasi tutto il Parlamento – maggioranza e opposizione – ad avallare le politiche di smantellamento dei diritti (lavoro, assistenza, istruzione…) e di indebolimento progressivo delle strutture portanti della vita civile (sanità, scuola, università…), dando concretezza finale alla lunga cavalcata berlusconiana che aveva alimentato anche un diffuso annichilimento delle coscienze, con il berlusconismo che si era esteso ben oltre Berlusconi. Tutto questo è stato giustificato dalla lettura neoliberal e sostanzialmente bypartisan della crisi strutturale del sistema economico, tradottasi nei media e nell'opinione pubblica in un insidioso senso di ineluttabilità delle politiche di austerity e nella ingannevole chimera di una nuova crescita economica.
In un tale quadro, , la governabilità non è più il principale obiettivo se non si chiarisce prima a cosa serve il governo. Bisogna prima passare concettualmente dal governo del potere al governo del paese, e bisogna – soprattutto – governare la ricostruzione della dimensione pubblica dello Stato e la descrescita economica. Ecco perché in questa prospettiva e nella consapevolezza dei danni che gli ultimi governi hanno arrecato al Paese, la questione della governabilità, da tutti ossessivamente evocata, mi lascia abbastanza indifferente.
La fase di transizione verso un sistema politico nuovo, che recuperi gli effettivi principi e la lettera della Costituzione, richiede un'azione di decostruzione del sistema politico italiano e un cambiamento radicale dei meccanismi di riproduzione della classe dirigente e di partecipazione politica. Richiede anche la pratica di forme di autogoverno che potranno svilupparsi ovunque nella società, nei luoghi di lavoro, nella città, nel territorio, basati sulla partecipazione e una etica dal basso della responsabilità. Siamo forse di nuovo nella sfera del pre-politico, di un lavoro culturale che pian piano ricostruisca le coscienze e alimenti la fiducia nel futuro.
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